L'esposizione

Ultimo aggiornamento: 19/11/2007
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Introduzione

La fotografia é la cattura della luce mediante la scelta dell'esposizione, quindi l'esposizione è la base fondamentale della fotografia. Capire bene come funziona l'esposizione (tempi, diaframmi, ISO) e tutti i vari argomenti collegati è indispensabile. E una volta capita bene, ci si accorge che improvvisamente si è in grado di comprendere il funzionamento della fotocamera (funzionalità e limiti) e soprattutto si comincia a fotografare, sul serio.

Buona lettura.

Indice

L'esposizione

Per esposizione si intende la modalità con cui si intende somministrare la luce all'elemento sensibile della fotocamera (nel caso delle fotocamere digitali, il sensore) ovvero l'esposizione è la produzione un'immagine mediante la cattura della luce opportunamente "modificata" dalla fotocamera. Nella fotografia digitale, esposizione vuol dire combinazione di quattro fattori fondamentali:

Il primo fattore, la luce disponibile, è il più ovvio anche se quasi mai preso in considerazione. Meglio, viene tralasciato implicitamente perchè è la componente che spesso non possiamo controllare direttamente (es: un paesaggio al tramonto). Una buona fotografia nasce da una buona luce, sia come quantità sia come qualità. La luce merita un articolo a se stante diverso da questo, perchè è uno dei pilastri dell'arte della composizione. Argomento che umilmente non ho le capacità di affrontare in modo completo, vista la mia limitata esperienza.

Il quarto fattore, la sensibilità ISO equivalente, non viene sempre citato quando si parla di esposizione. Infatti, per le fotocamere tradizionali la sensibilità della pellicola viene forzatamente scelta prima di cominciare e non può essere cambiata se non alla fine del rullino. Ma per le fotocamere digitali la sensibilità ISO equivalente si può cambiare al volo senza problemi come i classici "tempo e diaframma", e quindi diventa un prezioso ulteriore grado di libertà. Si veda il paragrafo La sensibilità ISO equivalente qui sotto.

Quando la scelta di tempo/diaframma/ISO produce una foto più scura rispetto ad un'esposizione corretta, si parla di sottoesposizione. Viceversa, quando si produce una foto troppo chiara, si parla di sovraesposizione.

Cosa vuol dire "esposizione corretta"? Come in molti altri concetti della fotografia in generale, ci sono due aspetti importati e complementari.

Questi due aspetti dell'esposizione sono molte volte in conflitto. Ad esempio, il fotografo può decidere di sovraesporre o sottoesporre un soggetto per comunicare particolari sensazioni. La stessa scena può essere ripresa con più esposizioni diverse, a seconda del risultato che il fotografo intende ottenere (in gergo, le foto con prevalenza di toni chiari vengono definite "high-key", quelle con prevalenza di toni scuri vengono definite "low-key"). Questo ci porta ad una conclusione un po' sconcertante:

Non esiste l'esposizione corretta in assoluto, ma l'esposizione corretta per i fini espressivi del fotografo.

E questo và a braccetto con il significato intimo della fotografia come mezzo espressivo:

Una fotografia é "bella" quando comunica qualcosa: un messaggio, un'idea, una sensazione.

Analizziamo ora ognuno dei tre aspetti dell'esposizione: diaframma, tempo di esposizione e sensibilità ISO equivalente.

Il diaframma

L'ottica di una fotocamera ha lo scopo principale di mettere a fuoco il soggetto alla lunghezza focale desiderata (nel caso degli obbiettivi fissi, questa non si può ovviamente cambiare). Dentro il gruppo ottico c'é però un altro elemento molto importante che non viene utilizzato per raggiungere lo scopo appena descritto ma altri due che diremo in seguito: il diaframma. Il diaframma consiste in una serie di lamelle disposte in maniera tale da creare un buchetto concentrico con l'asse dell'obbiettivo (tanti ringraziamenti a Stefano Arcidiacono di PhotoRevolt per le due foto seguenti).

Diaframma

Mediante la ghiera sull'obbiettivo oppure per via elettronica mediante degli attuatori è possibile allargare o chiudere ulteriormente questo foro, attraverso il quale passa la luce che arriverà poi sul sensore digitale (o sulla pellicola). Il diaframma è presente anche nelle fotocamere digitali (in quelle in cui è regolabile in vari passi, quindi in quelle non di fascia bassissima), anche se non visibile dall'esterno. Attenzione a non confondere il diaframma con l'otturatore: quest'ultimo può essere effettivamente realizzato con lo stesso principio (si chiama in questo caso otturatore centrale, diverso dall'otturatore a tendina delle reflex digitali e non) ma ha lo scopo di nascondere completamente o di esporre completamente il sensore alla luce proveniente dal gruppo ottico. Durante la fase di messa a fuoco e di composizione il diaframma si apre alla massima apertura consentita dall'obbiettivo, in modo da permettere all'autofocus di lavorare al meglio e al fotografo di vedere attraverso il mirino (ottico o elettronico che sia) ad una luminosità decente. Al momento dello scatto il diaframma si porta alla posizione scelta, per poi tornare alla massima apertura dopo l'acquisizione dell'immagine.

Diaframma

Il diaframma viene espresso in una forma un po' particolare: si indica con qualcosa del tipo f/n, dove n si chiama valore di apertura ed é un numeretto. Non vengono utilizzati tutti i numeri, ma sono una serie ben definita:

diaframma più aperto...più luce...

...diaframma più chiuso...meno luce

f/1

f/1.4

f/2

f/2.8

f/4

f/5.6

f/8

f/11

f/16

f/22

f/32

f/45

f/64

La prima cosa da notare é che più é grande il numero, più é chiuso il diaframma (il buchetto attraverso il quale deve passare la luce é più stretto, e quindi ne passa meno), quindi attenzione a non fare confusione.

La seconda questione fonte di confusione é la seguente: cosa si intende per "aumentare il diaframma"? Generalmente vuol dire aumentare il numeretto e quindi chiudere il diaframma, e non viceversa come potrebbe sembrare. Quindi, aumentare il diaframma vuol dire passare da f/2 a f/11 (a dir la verità ho trovato fonti che indicavano il contrario, ma questa é la versione più... popolare).

Perché questa strana serie di numeri, e non diaframma f/1, f/2, f/3, che era più semplice? Tutto deriva da queste due scelte:

La prima affermazione dice che il valore di apertura non é un numero a caso, ma corrisponde al rapporto tra la focale (cioè la distanza tra il sensore e il centro ottico della lente) e il diametro del foro del diaframma. Questo spiega perché questa notazione strana per i diaframmi: f/2 vuol dire che il diametro del foro é pari a alla focale (indicata con la lettera f) fratto 2. Considerando una obbiettivo con focale fissa a 50mm, impostando un diaframma pari a f/2 vuol dire che il foro ha un diametro di 25mm. Se impostiamo un diaframma paria f/11, otteniamo un diametro del foro pari a 50mm/11=4.55mm: molto più piccolo!

La seconda affermazione dice che si vuole che ad ogni cambiamento del valore diaframma corrisponda un aumento o una diminuzione della luce di uno "stop" (si veda più avanti nel paragrafo Relazione tra tempi, diaframmi e ISO). Uno "stop" è una variazione di un parametro dell'esposizione del doppio (si dice "+1 stop") o della metà (si dice "-1 stop"). Si vuole quindi che ogni tra un diaframma e il successivo ci sia un raddoppio o un dimezzamento (a seconda se stiamo chiudendo o aprendo) della luce che passa attraverso il foro. Tale quantità di luce dipende ovviamente dalla superficie del foro stesso, quindi é proporzionale ad un'area e non ad una lunghezza lineare. Dipende dai mm quadrati, e non dai mm semplici, per capirsi. Da qui la successione dei numeri strani. Domanda: se ho un diaframma f/1, qual'é il prossimo valore di apertura che corrisponde ad un raddoppio dell'area del forellino? Fingiamo che il foro sia quadrato, e che f/1 corrisponda ad un foro con un lato di 1mm: l'area è 1mm x 1mm = 1mmq (1 millimetro quadrato).Il prossimo diaframma (più piccolo) deve avere un'area metà, quindi 0.5mmq. Il lato del quadrato? Bisogna utilizzare la radice quadrata, quindi si ha che il lato é radice di 1/2, quindi 1/1.4148, approssimato in... 1/1.4, che numericamente è circa 0.707. Si noti la scrittura 1/1.4148 (approssimato a 1.4) piuttosto che il numero 0.707: si tratta di indicare l'area rispetto al valore di diaframma 1. Scrivere "f/5.6" vuol dire che il diaframma ha un diametro 5.6 volte più piccolo rispetto al diaframma base f/1. E' una scelta "storica", che ha il vantaggio di non dover scrivere decimali sulle ghiere degli obiettivi (pesate di dover scrivere 0,0442 al posto fi f/22...). Concludendo: questa strana successione di valori di diaframma deriva dal fatto che si vuole un raddoppio o un dimezzamento dell'area del foro, e quindi una moltiplicazione o una divisione per la radice di 2. Il valore ottenuto viene approssimato con una cifra decimale. Se uno vuole può farsi i conti per bene:

Diaframma

Valore di aperturadel diaframma

Valore precisissimo

f/1

1

1/1

f/1.4

1/1.4

1/1,4142135623730950

f/2

1/2

1/2

f/2.8

1/2.8

1/2,8284271247461900

f/4

1/4

1/4

f/5.6

1/5.6

1/5,6568542494923801

f/8

1/8

1/8

f/11

1/11

1/11,3137084989847603

f/16

1/16

1/16

f/22

1/22

1/22,6274169979695207

f/32

1/32

1/32

f/45

1/45

1/45,2548339959390415

f/64

1/64

1/64

Torniamo a parlare di... fotografia. A cosa serve quindi il diaframma? Per altri due scopi molto importanti:

Sul primo effetto penso ci sia poco da dire: se il foro è più stretto passa meno luce, se il foro é largo passa più luce. Sinceramente non mi è ancora chiarissimo perchè... questo foro non compaia anche nella foto ;-), ma penso sia un miracolo dell'ottica al di là della mia comprensione.

Anche la spiegazione intima del secondo effetto non é poi così intuitiva. In pratica quello che succede é che il piano di fuoco non é in realtà un piano sottilissimo, ma una zona di spazio, che ha un inizio e una fine. La profondità di campo é quindi la lunghezza di questa zona in cui considero tutti i soggetti in essa contenuti a fuoco. Si verifica che:

La profondità di campo merita un articolo a sé, ma per ora basta aver capito il legame tra questa e il valore di diaframma. Altre informazioni si possono trovare a questi links:

Megapixel.net - Depth of field (in inglese) DPReview - Depth of field (in inglese) PhotoRevolt - La profondità di campo (in italiano)

Il tempo di esposizione

Assieme al diaframma e alla sensibilità ISO, il tempo di esposizione é la terza componente dell'esposizione. E' il più intuitivo: si tratta del tempo per il quale lascio che la luce, passata attraverso il foro del diaframma, colpisca il sensore della fotocamera digitale. Se diminuisco il tempo di esposizione, diminuisce la quantità di luce. Semplice, no? L'elemento sensibile (pellicola, sensore) non reagisce immediatamente alla luce, ma ha bisogno di un certo tempo per... impressionarsi, cioè per cattura l'immagine. Se "tolgo" la luce molto prima del tempo corretto, il risultato é una foto che ha appena cominciato a formarsi, ad emergere dal nero di sottofondo: la foto é sottoesposta. Se invece lascio la luce per troppo tempo, la foto comincia a "bruciarsi": i suoi colori tendono ad arrivare al bianco: la foto é sovraesposta. Come vedremo in seguito una foto non é sottoesposta o sovraesposta a causa del solo tempo di esposizione, ma a causa di un'esposizione non corretta, quindi di una scelta errata della terna tempo/diaframma/ISO.

Come per il diaframma, il tempo di esposizione non ha valori a caso ma segue la logica dello "stop" tra un valore e il successivo, cioè raddoppio o dimezzamento della quantità di luce che arriva al sensore. Qui é tutto più semplice però: partendo dal tempo di 1s, la metà e 1/2s, la meta di questo é 1/4 e così via, espressi quasi sempre come frazioni di secondo. Verso l'alto si hanno 2s, 4s, 8s, 16s, ... I valori usualmente utilizzati sono approssimati a valori più... carini (es: 1/64s é approssimato a 1/60s).

tempi più corti...

...tempi più lunghi

1/2000s

1/1000s

1/500s

1/250s

1/125s

1/60s

1/30s

1/15s

1/8s

1/4s

1/2s

1s

2s

4s

8s

16s

Come per il diaframma (che influenza la profondità di campo), anche il tempo di esposizione ha un risvolto importante nella foto in sé, al di là dell'esposizione: la cattura del movimento. Se il soggetto della foto é in movimento, la scelta del tempo di esposizione può portare a due risultati: il "congelamento" del movimento se ho scelto un basso tempo di esposizione, o l'effetto "mosso" se ho scelto un tempo di esposizione elevato. Il tempo di esposizione minimo per "congelare" un movimento dipende dalla velocità del movimento stesso: se voglio fotografare una persona che cammina basta 1/250s, per fermare le ali di un colibrì in volo ci vuole 1/2000s.

Un'altra possibile causa di foto mosse oltre ad un soggetto in movimento é... il fotografo in movimento! Penso sia capitato a tutti di scattare una foto "mossa" a causa della mano poco ferma, problema che comincia ad evidenziarsi per tempi di esposizione sotto al 1/60s.

La sensibilità ISO equivalente

Come già scritto nel precedente articolo "Scelta della fotocamera digitale", le fotocamere digitali hanno la possibilità di impostare la sensibilità ISO. Ovviamente si tratta di una "sensibilità ISO equivalente", perché non c'é la pellicola. Cambiare la sensibilità ISO equivalente della fotocamera digitale ci permette di adattarci alla luminosità dell'ambiente in cui stiamo fotografando.

Sensibilità ISO

Vediamo un esempio classico. Vogliamo scattare delle foto in chiesa durante un matrimonio ma non ci é permesso utilizzare il flash. A ISO100, a diaframma aperto al massimo, otteniamo un misero 1/4s, assolutamente troppo lungo sia per una foto senza treppiede, sia per i movimenti delle persone che vogliamo fotografare. La soluzione é semplice: impostiamo a ISO1600 e otteniamo un tempo di esposizione 1/64s, sufficiente per evitare un mosso e per congelare i movimenti dei soggetti. La contropartita si paga in termini di rumore: solo le reflex digitali producono immagini ancora accettabili a queste sensibilità così elevate. E comunque quasi sempre fotografare con rumore é meglio che non fotografare affatto...

Come si può aumentare la sensibilità del sensore della fotocamera digitale? Si tratta alla fine di un'amplificazione elettronica di un segnale (quello proveniente dal sensore, appunto). E' come alzare il volume dello stereo di casa, o meglio ancora alzare il volume di un microfono. E continuando con l'analogia con l'audio, vi sarete accorti che alzando il volume del microfono, avete anche aumentato il rumore sovrapposto al segnale utile (es: la voce di qualcuno che parla): magari vi andava bene lo stesso, perché il vostro scopo é solamente permette alle persone in fondo ad una sala di sentirvi mentre parlate ad una conferenza. Ma se siete un ingegnere del suono alla Scala di Milano per registrare un concerto, non vi va bene affatto: dovete prendere delle decisioni drastiche, tipo cambiare attrezzatura per una migliore. Allo stesso modo, aumentando la sensibilità ISO equivalente avete "alzato il volume" della foto, però vi siete portati dietro anche il rumore che prima era inavvertibile. Ok se é la foto di un momento a voi caro (echissenefrega del rumore, tanto la mia ragazza non sa neanche che esiste 'sto rumore), ma non vi va bene se siete un fotografo di matrimoni e le vostre foto le vendete (a caro prezzo, aggiungo): meglio passare ad una reflex digitale con menu rumore.

Per ultimo: anche per la sensibilità ISO (come per i diaframmi e i tempi di esposizione) si é deciso di scegliere valori distanti di uno "stop", quindi corrispondenti al dimezzamento o al raddoppio della luce convertita dal sensore. Quindi i valori tipici sono:

meno sensibile...meno rumore...

...più sensibile...più rumore

ISO50

ISO100

ISO200

ISO400

ISO800

ISO1600

ISO3200

Relazione tra tempi, diaframmi e ISO

Abbiamo parlato sopra delle tre componenti dell'esposizione: diaframma, tempo di esposizione e sensibilità ISO equivalente. Ora arriva il bello: capire come queste tre variabili sia legate fra loro per creare l'esposizione. Il concetto fondamentale é il seguente:

L'esposizione desiderata si può ottenere con diverse terne (cioè tre valori, una tripla) di tempo/diaframma/ISO. Queste terne sono tutte equivalenti tra loro ai fini dell'esposizione stessa.

Meglio chiarire con un esempio. Nella mia fotocamera digitale imposto una sensibilità ISO200, perché c'é una bella giornata di sole e penso di non avere problemi di scarsa luminosità. Punto verso il viso della mia Stefi e la fotocamera sceglie i valori di f/8 e 1/125s per diaframma e tempo. Cosa faccio?

Da quanto detto sopra, tutte queste terne sono equivalenti, ai fini dell'esposizione:

Sensibilità ISO

ISO200

ISO200

ISO50

ISO800

Diaframma

f/8

f/4

f/4

f/8

Tempo

1/125s

1/500s

1/125s

1/500s

Si vede che in ogni colonna c'é un valore che resta fermo e due valori che cambiano ma in direzione opposta: uno due stop in più, l'atro due stop in meno, per lasciare inalterata l'esposizione.

Di solito la sensibilità ISO viene impostata prima di cominciare a fotografare, e poi non si tocca più (ammenoché non entriamo in una chiesa buia da ISO800 dopo una giornata di sole all'aperto da ISO100), anche perché le fotocamere digitali di solito permettono di cambiare ISO solo nel menu, quindi con un'operazione non molto veloce. Normalmente si preferisce giocare con tempi e diaframmi, i cui valori si posso cambiare velocemente con delle ghiere a portata di pollice, senza staccare l'occhio dal mirino. Attenzione però a non raggiungere i limiti inferiori o superiori delle tre variabili in gioco: se ad esempio l'esposimetro ci indica f/8 1/1000s, se vogliamo f/4 dobbiamo assicurarci che la fotocamera possa scattare a 1/4000s. Se così non é non possiamo aprire il diaframma a f/4, pena una foto sovraesposta.

Due interessanti articoli in italiano su questo argomento sono Stop & regola della reciprocità e Esposizione corretta, entrambi dall'ottimo PhotoRevolt. Sullo stesso sito, se volete divertirvi con il bricolage, c'é un articolo "Stop disc" con cui potete costruire un regolo calcolatore circolare, per giocare con le terne tempo/diaframma/ISO.

La metafora del secchio

In alcuni articoli relativi all'esposizione fotografica ho trovato una simpatica ed efficace metafora per esplicare ancor meglio questo concetto un po' astruso. Supponiamo di indicare il sensore della fotocamera con un... secchio. L'esposizione corretta consiste nel riempire perfettamente il secchio con dell'acqua: non deve succedere che ne metto meno (sottoesposizione), non deve succedere che l'acqua esca dal secchio perchè ne ho messa troppa (sovraesposizione). L'acqua, come avrete già capito, è la luce che colpisce il sensore e che forma l'immagine. Come la luce prima di arrivare al sensore viene "dosata" dalla fotocamera, anche l'acqua che andrà a riempiere il secchio viene controllata da un rubinetto.

Il riempimeno perfetto del secchio, ovvero l'esposizione corretta, dipende quindi dall'apertura del rubinetto, dal tempo in cui rimane aperto e dalla grandezza del secchio (rispettivamente diaframma, tempo di esposizione e sensibilità ISO equivalente). Semplice!

La misurazione esposimetrica delle fotocamere

In passato, prima dell'arrivo dell'elettronica nelle fotocamere, il buon fotografo doveva calcolarsi praticamente ad occhio diaframma e tempo di esposizione. La situazione si è evoluta parecchio, tant'è che oggi le fotocamere moderne (digitali e non) sono dotate di un sistema di misurazione della luce per il calcolo dell'esposizione corretta: il sistema di esposizione automatica (AE, Automatic Exposure). Generalmente viene utilizzato un sistema che, utilizzando elementi elettronici sensibili alla luce disposti in vari punti del fotogramma, misura la luce effettivamente passante attraverso l'ottica e pronta per arrivare al sensore (o alla pellicola): si tratta di un sistema TTL (Through the lens, attraverso le lenti). Il sistema di esposizione automatica della fotocamera funziona così: legge la luminosità dell'inquadratura (o di parte di essa, come vedremo in seguito) e calcola l'esposizione (diaframma/tempo e sensibilità ISO) cercando di ottenere una luminosità pari ad un grigio 18% (questa scelta deriva dal fatto che si é osservato che il grigio 18% é statisticamente la luminosità media della gran parte delle foto). Da qui un cosa importantissima da capire:

Alla fotocamera niente frega se stiamo fotografando una distesa di neve fresca bianchissima o il cofano di una Ferrari nera, per entrambi calcola l'esposizione al fine di ottenere... una neve grigia al 18% e una Ferrari grigia al 18%: è il fotografo che deve capire di essere in una situazione "anomala" e di correggere l'esposizione proposta dalla fotocamera.

Attenzione, si tratta di un punto cruciale di questo articolo: l'esposimetro automatico delle macchine fotografiche moderne, dalla reflex superprofessionale alla compattina economica da ipermercato, calcolano tempo e diaframma (una volta impostata la sensibilità ISO) per ottenere un'esposizione corretta del famoso grigio al 18%. Il fatto che scattiamo con priorità di tempi o diaframmi, o che utilizziamo una misurazione matrix oppure spot, poco importa: il concetto fondamentale è che l'esposizione automatica è tarata su un valore medio, che va bene per l'80% delle foto, ma che nel restante 20% cannerà alla grande.

Perchè l'esposimetro automatico sbaglia in quel 20% delle foto? Perchè ci sono situazioni particolari in cui l'esposimetro automatico viene "ingannato". La realtà è che l'esposimetro automatico fà SEMPRE per bene il suo lavoro (a meno di difetti della fotocamera, ovvio).

Il problema che l'esposizione calcolata è corretta secondo i parametri dell'esposimetro automatico (il famoso grigio 18%), ma può non esserla secondo le intenzioni del fotografo. Quindi, dobbiamo metterci in testa che l'esposimetro automatico è uno strumento che bisogna imparare ad usare, ma che talvolta bisogna anche "correggere".

Ecco delle foto in cui l'esposimetro automatico ha svolto egregiamente il suo lavoro, ma i cui risultati non sono quelli desiderati...

La luce dalla finestra ha ingannato l'esposimetro, che ha sottoesposto i tavoli in primo piano.

E il panorama dov'è?Il sole accecante ha portato ad una completa sottoesposizione del panorama.

La neve doveva essere bianca, non grigia...

Ovviamente ci sono degli strumenti che permettono al fotografo di "correggere" oppure "aiutare" l'esposizione automatica: la compensazione dell'esposizione, il blocco dell'esposizione mediante il pulsante AEL, le diverse misurazioni dell'esposizione (matrix, center-weighted, spot). Oltre ovviamente all'esposizione manuale, dove facciamo tutto noi.

Integrazione a posteriori su questa tecnica: ho scoperto che, se l'ambiente lo consente, è meglio utilizzare la misurazione matrix, più omogenea e sicura della misurazione spot, che invece proprio per il fatto che è... spot può facilmente misurare fischi per fiaschi a seconda di dove è puntata.

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La compensazione dell'esposizione

Succede spesso di non essere soddisfatti dell'esposizione proposta dalla fotocamera, e di volerla modificare. D'altra parte nel paragrafo "La misurazione esposimetrica delle fotocamere" abbiamo detto che l'esposizione viene calcolata con il riferimento di un grigio 18%, che potrebbe non essere quello che vogliamo. Una possibilità ovvia é quello di modificare il tempo di esposizione o il diaframma o entrambi, passando in modalità manuale M. Questa possibilità ha vari inconvenienti.

La soluzione a questi inconvenienti é la compensazione dell'esposizione: si tratta di una regolazione attuabile anche in frazioni (1/2, 1/3) di stop, in un range limitato, di solito da +2 stop a -2 stop. L'unità di misura della compensazione dell'esposizione é l'EV (exposure value), ma 1EV é uno stop, quindi niente di nuovo. A seconda della "professionalità" della fotocamera, la compensazione dell'esposizione si può effettuare mediante la pressione di un pulsantino e la rotazione di una rotellina, oppure mediante una ghiera predisposta. Nella mia Minolta 7D c'è quest'ultima soluzione, con il plus di avere a disposizione due scale con passi di 0.3ev e di 0.5ev. E siccome alla Minolta erano dei grandi, quando sono in priorità di diaframma la seconda rotellina a portata del mio pollice regola velocemente la compensazione dell'esposizione: comodissimo!

Nelle fotocamere digitali compatte (non reflex) la compensazione dell'esposizione và a braccetto con la lettura dell'istogramma in tempo reale, quando disponibile: un clipping dovuto ad una sovraesposizione si può correggere in un batter d'occhio regolando di conseguenza con la regolazione fine della compensazione dell'esposizione.

Tipi di misurazione dell'esposizione

La scelta di quali punti o regioni debbano essere effettivamente utilizzate per la misura della luminosità influenza pesantemente l'esposizione, come si può facilmente immaginare. Proprio per questo, le fotocamere mettono a disposizioni varie modalità di misura della luce, in modo che il fotografo possa scegliere quella corretta per la scena che sta' fotografando.

Misurazione di tipo matrix (matrice) In questa modalità la fotocamera misura l'intera area del fotogramma. Questo tipo di misurazione é utili quando la scena é omogenea, senza forti contrasti tra il soggetto e lo sfondo, come ad esempio un paesaggio.

Misurazione di tipo center-weighted (pesata al centro) Come la precedente ma meno estrema, nel senso che non viene misurato un punto ma piuttosto l'area centrale del fotogramma. Questo tipo di misurazione é utile quando la scena comprende il soggetto importante che occupa la porzione centrale.

Misurazione di tipo spot (punto) In questa modalità la misurazione esposimetrica avviene solo per il punto centrale del fotogramma. Qualche volta viene indicato nelle caratteristiche tecniche della fotocamera l'area di tale punto, qualcosa dell'ordine del 10% dell'area totale del fotogramma.

La misura vera e proria della luce avviene in modo diverso a seconda del tipo di fotocamera: per le compatte non reflex si utilizza il sensore vero e proprio, visto che è sempre esposto alla luce, mentre nelle fotocamere reflex, poichè il sensore è sempre coperto dallo specchio, si utilizza un dispositivo autonomo, formato da celle sensibili disposte in vario modo nel fotogramma. Nelle immagine qui sotto potete vedere come la Minolta abbia interpretato il tema nelle fotocamere reflex 507si 600si 650si: un pattern di 14 segmenti esagonali.

Il numero e la disposizione di questi segmenti sono proporzionali ai $$$ che avete dovuto sborsare per la vostra reflex :-) Quando selezioniamo la misurazione di tipo matrix, il microprocessore della fotocamera tiene sotto osservazione tutti i segmenti, e calcola l'esposizione mediente un complesso algoritmo (che può tenere conto anche di altre informazioni come il punto di messa a fuoco, la distanza del soggetto, ...) il quale cerca di riconoscere una "scena" conosciuta, e quindi indovinare l'esposizione corretta. Ad esempio, se riesce a capire che stiamo facendo un ritratto con uno sfondo innevato, cercherà di non farsi ingannare troppo dalla neve e di "misurare" di più la figura in primo piano.

Ovvio che la bontà di questo algoritmo decide se dobbiamo smanettare ogni volta con la compensazione dell'esposizione o se possiamo fidarci della fotocamera. Questo sistema di misura e riconoscimento è uno dei know-how più importanti di ogni marca di fotocamere, assieme ad altri sistemi come l'autofocus o la gestione del flash.

Nella misurazione di tipo center-weighted (pesata al centro) decidiamo invece di slegarci da questa valutazione semi-intelligente della scena da parte della fotocamera e di decidere che il "peso" maggiore della scena sia nella parte centrale del fotogramma. La fotocamera calcola i parametri dell'esposizione misurando tutti i segmenti a disposizione, ma valuta con più attenzione quelli centrali.

Come già accennato sopra, la misurazione esposimetrica di tipo spot può essere utilizzata per risolvere situazioni particolari: ad esempio, un ritratto di una persona in uno sfondo innevato (supponendo che la misurazione matrix di cui sopra fallisca miseramente...). Una misurazione tipo matrix in questo caso porta ad una sottoesposizione della persona, a causa della neve bianca che, nella media di tutto il fotogramma, inganna il calcolo dell'esposizione (ricordo che la fotocamera punta ad una luminosità media pari ad un grigio 18%). Utilizzando invece la misurazione spot sulla persona, questa viene correttamente esposta, ovviamente al costo della sovraesposizione della neve.

Un'altro utilizzo interessante della misurazione spot é come... strumento di misura vero e proprio: puntandolo la fotocamera verso i vari punti della scena abbiamo un'idea delle differenze di luminosità. Questo ci può aiutare a capire, per esempio, quanti stops ci sono tra la zona di luminosità maggiore e quella di luminosità minore (si veda il paragrafo La dinamica delle fotocamere digitali).

Per i fortunati possessori della 7D, la pressione del pulsante AEL attiva celocemente anche la misurazione spot: comodo!

Il pulsante AEL, questo sconosciuto

Le prime volte che ho avuto per le mani la mia Minolta A1, non avevo idea di cosa facesse il pulsante AEL. L'ho scoperto dopo che la sua pressione accidentale mi aveva rovinato una serie di foto: scoprii sulla mia pelle che "congela" l'esposizione calcolata al momento della sua pressione, basandosi quindi su quello che in quel momento era inquadrato nel fotogramma. Inizialmente, solo una fonte di guai.

Poi ho avuto occasione di scoprire come questo pulsantino sia utile e necessario. Prima di tutto, da menù di solito è possibile impostare se tale pulsante effettua la sua funzione solo durante la sua premuta oppure se funziona passo-pass, cioè attiva il blocco dell'esposizione alla prima premuta, e si sblocca alla seconda. Eccovi una serie di situazioni difficili in cui il pulsante AEL vi permette di cavarvela con buoni risultati.

Gli esposimetri esterni

Solo qualche accenno agli esposimetri esterni, cioè quegli strumenti (esterni alla fotocamera) che servono per la misura della luce allo scopo del calcolo della corretta esposizione fotografica. Gli esposimetri esterni vanno tarati secondo la sensibilità ISO impostata nella fotocamera, e una volta misurata la luce restituiscono una serie di coppie tempo di esposizione/diaframma corrette. Corrette sempre il solito schema che prevede una luminosità media corrispondente ad un grigio 18%, come negli esposimetri interni alle fotocamere.

Fin qui, niente di nuovo rispetto all'esposimetro interno alla fotocamera. Quelo che alcuni esposimetri esterni permettono è la misurazione della luce incidente. La misura dell'esposimetro interno alla fotocamera è relativa infatti alla luce riflessa, cioè la luce prodotta da una fonte luminosa (sole, luce atificiale, flash, ...) riflessa dal soggetto verso l'obbiettivo della fotocamera. Gli esposimetri a luce incidente invece misurano la luce effettivamente incidente sul soggetto, e forniscono un dato più preciso e "diverso" rispetto al precedente. Certo che il fotografo deve avere una grande esperienza nell'interpretare i dati di luminosità incidente e riflessa, ottenuti in varie posizioni del soggetto e in varie direzioni. Infatti, si tratta di strumenti che solitamente hanno senso solo in mano a professionisti.

I programmi P, A, S, M

Nel paragrafo precedente sono stati descritti i modi di funzionamento del sistema di esposizione automatica, cioè del sistema di misurazione della luce che possa indicare al fotografo l'esposizione corretta. Ovviamente non é stato sempre così: le prime fotocamere erano solo meccaniche, e il fotografo doveva avere l'esperienza di capire praticamente senza aiuto quale combinazione tempo/diaframma era corretta per quella situazione. Oggi, fortunatamente per noi poveri adepti, non é più così, siamo coccolati dall'elettronica che se lo vogliamo sceglie tutto per noi. Non parliamo poi dell'autofocus...

Durante l'evoluzione dei sistemi di esposizione automatica si sono delineati quelli che si chiamano "programmi", cioè delle modalità (presenti in tutte le fotocamere decenti, di tutte le marche) di aiuto totale o parziale alla scelta dell'esposizione per chi come noi vuole imparare a fotografare sul serio e non vuole solo "puntare e scattare".

Qualche consiglio di... tecnica fotografica

In questo paragrafo (assolutamente non esaustivo sull'argomento) solo qualche consiglio per cominciare a giocare con la fotografia, basato sulla mia esperienza personale e su quello che si dice in giro, da parte di persone molto più competenti di me.

Personalmente utilizzo quasi sempre la priorità di diaframma, inquanto mi permette di decidere la profondità di campo, uno degli elementi compositivi più efficaci di una foto. A grandi linee, cerco di utilizzare f/2.8-f/5.6 per i ritratti, in cui lo sfondo debba essere piacevolmente fuori fuoco in modo da esaltare il soggetto, e f/11-f/13 per i panorami in cui tutti gli elementi debbano essere a fuoco. Una volta impostato il diaframa e la sensibilità ISO, bisogna controllare il tempo di esposizione risultante. Come avete ben capito esistono due vincoli da rispettare per evitare di ottenere una foto mossa: uno legato ai movimenti del soggetto, e uno legato ai movimenti della fotocamera.

Attenzione: nulla vieta di fotografare con tempi superiori, sappiate però che la probabilità di avere delle foto mosse a causa dei movimenti della fotocamera diventa sempre più elevata, fino a diventare... una certezza! Le considerazioni di cui sopra si possono ovviamente applicare anche quando impostiamo la priorità dei tempi, in cui noi settiamo il tempo di esposizione e la macchina fotografica calcola il diaframma corretto. Non mi piace troppo questa modalità, ma forse dipende dal tipo di foto che faccio, preferisco di gran lunga la priorità di diaframma.

Quando utilizzare la modalità manuale? Secondo la mia esperienza sicuramente quando avete una situazione stabile dal punto di vista dell'esposizione (ad esempio, uno studio fotografico) e del soggetto, e non volete sorprese, cioè non volete che per qualche motivo l'esposimetro automatico cambi le carte in tavola. Per fortuna vete una digitale, con qualche scatto di prova e con le verifiche dell'istogramma, dovreste centrare velocemente l'esposizione desiderata. Credetemi, se siete in una situazione del genere, passate in manuale. Vi toglierete una possibile "variabile impazzita" dalle scatole.

Un esempio molto particolare, che mi è capitato? Siete in una chiesa con situazione di luce uniforme, tali da permettervi di scattare senza flash con sensibilità ISO decentemente elevate (pazzi, ma i risultati potrebbero essere interessanti). Se lasciate il calcolo continuo dell'esposizione alla fotocamera, basta inquadrare per sbaglio una lampadina o il vestito immacolato della sposa o il vestito scuro dello sposo per ingannare continuamente l'esposimetro automatico e quindi cannare tante foto, ammenochè non abbiate la velocita di pollice necessaria e l'abilità di risolvere questi inconvenienti a forza di compensazione dell'esposizione (inattuabile, in questa situazione in cui dovete catturare espressioni e movimenti sfuggenti). Quello che bisogna centrare in questa situazione è l'esposizione corretta dei visi delle persone, perchè queste sono l'elemento fondamentale della composizione. Bastano due minuti per verificare quale tempo e diaframma siano i più convenienti, e poi per tutta la cerimonia non dovete pensare ad altro che comporre e scattare.

Chiesa di Ponte della Priula, 1/90s f/2.8 ISO400, 50mm.

Ovviamente, se avete l'esperienza (o volete crearvela) di scattare in manuale in tutte le situazioni, mi inchino davanti a voi, sicuramente non avete bisogno di questo articolo...

Estote parati

L'unico utilizzo per un fotografo della modalità AUTO potrebbe essere... l'emergenza di cogliere al volo un soggetto improvviso e sfuggente, senza il tempo di regolare diaframma o tempo di esposizione. Se si è spesso in questa situazione vuol dire che non siamo a conoscenza di uno dei segreti della fotografia:

Sempre, per quanto possibile, bisogna prepararsi mooolto prima dello scatto!

Attenzione, è un consiglio importantissimo! "Prepararsi" vuol dire osservare, riflettere, provare, verificare tutto il possibile prima del momento vero e proprio dello scatto. Momento in cui, ci siamo passati tutti e ci passiamo continuamente, è sfuggente e diabolico. Questo mi ricorda un motto degli Scouts: "estote parati: non esiste buono o cattivo tempo, ma buono o cattivo equipaggiamento".

Facciamo un esempio classicissimo: vogliamo fotografare una coppia di amici che si stanno sposando in chiesa. Facciamo qualche scatto di prova prima della cerimonia, cerchiamo la sensibilità ISO che ci permetta di evitare sia un rumore troppo elevato che il mosso dei soggetti, proviamo a esporre qualcosa di simile al vestito chiaro della sposa e a compensare l'esposizione (sovraesporre, in questo caso) adeguatamente, proviamo a scattare qualche foto, consultiamo l'istogramma (fondamentale!), verifichiamo se ci sono finestre o luci forti che potrebbero ingannare l'esposimetro... In questo modo, nei momenti topici dovremo solo comporre e scattare, sicuri di avere scansato sgradite sorprese sull'esposizione delle foto.

Quanto detto per l'esposizione vale ancor di più per la composizione e per tutti gli altri elementi della fotografia. Sempre nel caso tipico del matrimonio, studiamo anche dove metterci per fotografare, proviamo le lunghezza focali migliori (se ho lo zoom è immediato, ma se ho una reflex con obbiettivi a focale fissa...), verifichiamo che non ci siano particolari sgradevoli nella composizione (non è bella una foto in cui cresce una pianta sopra la testa della sposa, eppure non l'avevamo neanche notata in chiesa...), pensiamo a quali siano i momenti salienti e i soggetti che vogliamo immortalare (azz... non ho fatto nessuna foto al coretto... e mi sono perso gli sposi sommersi dal riso...), studiamo la situazione delle luci (chiesa con lampade al tungsteno e quindi bilanciamento del bianco di conseguenza, bella questa lama di luce, attenzione a non inquadrare quella finestra luminosissima che mi rovina la foto evidenziando il "purple fringing" del mio obbiettivo...).

E chissà quanto altro ancora passa per la testa di un fotografo professionista...

L'istogramma

Come vi sarete sicuramente accorti, gran parte delle caratteristiche e funzionalità delle fotocamere digitali provengono dal mondo delle fotocamere a pellicola. Tempi di esposizione, diaframmi, ISO, zoom, rumore e tante altri concetti sono gli stessi tra i due mondi del digitale e analogico. Uno strumento che le fotocamere digitali (e tutti i software di fotoritocco) mettono a disposizione del fotografo non ha equivalente nel mondo della pellicola: l'istogramma.

L'istogramma é un grafico che viene mostrato nelle fotocamere digitali e in tutti i programmi di fotoritocco, ed esprima la distribuzione statistica della luminosità della foto.

Istogramma GIMP

Se guardiamo l'asse orizzontale, vediamo che verso sinistra si va verso il nero, verso destra si va verso il bianco. E' possibile quindi dividere spannometricamente l'istogramma in tre parti: le luci (highlights), i mezzi toni (midtones) e le ombre (shadows). Questa classificazione è intuitiva, non ha confini precisi, serve solo ad individuare queste importanti aree del grafico per poi poterle interpretare pensando all'immagine reale. L'istogramma è infatti di un grafico che viene ricavato matematicamente dall'immagine e che riporta in modo comprensibile alcune importanti informazioni, alcune delle quali non visibili facilmente ad occhio nudo.

Se avete una compattina di buon livello o una prosumer (comunque non reflex), è probabile che possiate visualizzarlo addirittura in tempo reale, al momento dello scatto (utilissimo!). Altrimenti, tutte le fotocamere digitali lo visualizzano durante il playback, cioè durante la visione delle foto già memorizzata nella scheda di memoria. In generale le fotocamere reflex non potrebbero visualizzare l'istogramma durante la ripresa a causa del fatto che il sensore normalmente è coperto dallo specchio, ma alcuni nuovi modelli hanno una funzione "LiveView" che permette di tenerlo alzato e quindi di inquadrare mediante l'immagine catturata dal sensore e visulizzata sul display LCD posteriore, a scapito però del non funzionalità del mirino ottico. Sarebbe parsa una bestemmia fino a poco tempo fa, invece ora i modelli di punta di Nikon e Canon ce l'hanno...

Esistono vari modi per calcolare il "valore" di un pixel, e di conseguenza vari tipi di istogramma, ognuno con le proprie caratteristiche.

Supponiamo di entrare nella... testa di un programma di fotoritocco che deve calcolare l'istogramma della luminosità di un'immagine (per comodità a 8 bit per colore). Per ogni pixel dell'immagine, il programma calcola la sua luminosità (si tratta di una media pesata dei valori RGB), ottenendo un numero da 0 (nero) a 255 (bianco). Poi comincia a costruire un grafico, una specie di istogramma a 256 (dalla 0 alla 255) colonne da "riempire": per ogni valore di luminosità, aggiunge "1" alla colonna relativa a quel valore. Ad esempio, se il primo pixel ha un valore di luminosità pari a 123, aggiunge "1" alla colonna 123. Alla fine, se l'immagine é composta da varie tonalità di grigio, si forma un grafico di cui non ci interessano i valori assoluti, ma piuttosto l'andamento. Sembra complicato, ma dopo averci fatto l'occhio non lo é. Si tratta di individuare la presenza di difetti di esposizione osservando questo grafico. Facciamo un po' di esempi, per capire come funziona il tutto.

Abbiamo capito come funzionano gli istogrammi delle immagini composte da un solo tono di luminosità (bianco, nero o grigio). Proviamo ad analizzare dei casi un po' più simpatici.

Da questi due ultimi esempio possiamo già imparare una cosa importante: le immagini con variazioni graduali e continue della luminosità hanno istogrammi "continui", magari con picchi e valli ma sempre con la sommità delimitata da una linea curva continua. Le immagini con variazioni brusche della luminosità (come il primo esempio) invece hanno istogrammi composti da righe e buchi, indice di discontinuità nelle gradazioni. Quest'ultimo caso potrebbe essere quello di immagini a 8 bit pesantemente elaborate: la causa sono le successive e pesanti elaborazioni (curve, livelli, saturazioni, filtri vari, ...), l'effetto é che certe zone dell'immagine hanno perso le variazioni continue di tonalità e si sono "solarizzate".

Gli ultimi due esempi sono molto importanti, perché spiegano come capire dall'istogramma che stiamo sovraesponendo fino a bruciare i bianchi e/o i neri. Quello che succede infatti quando sovraesponiamo al di là dei limiti della fotocamera, é che i pixel raggiungono il limite massimo di luminosità (che nei nostri esempi era 255) e non possono superarlo, quindi rimangono incollati a questo valore massimo, creando una riga sull'ultimissima colonna! Più sovraesponiamo, più aumenta il numero di pixel a luminosità massima e più aumenta l'altezza dell'ultima colonna, tanto che il programma di fotoritocco (o il firmware della fotocamera digitale, se stiamo osservando l'istogramma sul campo) é costretto a rimpicciolire il resto dell'istogramma. Nell'immagine, questo corrisponde al fatto che le zone più chiare perdono qualsiasi dettaglio e gradazione e diventano completamente bianche, di un bianco che più bianco non si può :-))).

Istogramma di un'immagine con clipping del bianco

Ovviamente succede lo stesso per la sottoesposizione: alcune zone dell'immagine si scuriscono a tal punto di diventare completamente nere (che più nere non si può...), quindi perdendo tutti i dettagli e le gradazioni: nell'istogramma si crea una riga nella primissima colonna a sinistra.

Istogramma di un'immagine con clipping del nero

Questo fenomeno in elettronica si indica con il termine "clipping", e ha analogie con l'omologo nell'alta fedeltà audio, quando alzando il volume tentiamo di superare i limiti dell'amplificatore, ma questo non può erogare più del su massimo e "tosa" le onde del segnale in uscita: si ha una pesante distorsione.

L'istogramma della luminosità fornisce altre informazioni all'occhio attento, tra cui una valutazione del contrasto dell'immagine. Se definiamo spazio tonale l'area di grafico in cui si concentra gran parte dei toni dell'immagine (in pratica, la larghezza del "panettone"), allora si intende per contrasto la "larghezza" dello spazio tonale. In pratica un'immagine si dice ben contrastata quando occupa tutti i toni dai più chiari ai più scuri. Ovviamente dipende dall'immagine: la foto di un muro bianco (pochi toni, panettone molto stretto) non può essere contrastata come la foto di un bosco autunnale (molti toni diversi, istogramma ampio).

Fin qui abbiamo un po' trascurato una... componente fondamentale di un'immagine: il colore! Cosa succede in questo caso? Beh, abbiamo già detto all'inizio che l'istogramma ha a che fare con la luminosità e che trascura la componente colore, in pratica osservando l'immagine come se fosse a toni di grigio. Il disagio piuttosto é nostro: non é facile pensare un'immagine in toni di grigio!

E' immediato il passo successivo: l'istogramma per ognuno dei tre colori fondamentali RGB! Si scompone l'immagine nei tre "canali" e per ognuna se ne calcola l'istogramma. Si ottengono tre grafici, quindi tre volte l'informazione che prima avevamo con il semplice istogramma della luminosità. Di solito nell'istogramma RGB dei tre colori fondamentali rosso (R, red) verde (G, green) e blu (B, blu) viene sovrapposto anche il precedente istogramma della luminosità.

Istogramma per i tre colori fondamentali, più la luminosità

Le considerazioni sono le stesse fatte finora, solo che adesso possiamo valutare il clipping anche di un solo canale dei tre.

E qui sorge un problema molto fastidioso: può succedere che l'istogramma della luminosità in tempo reale fornito dalla fotocamera digitale non indichi nessun clipping, mentre un'analisi attenta dei tre canali RGB in un programma di fotoritocco spietatamente ve lo sbatta in faccia.

Questo succede anche a causa del fatto che la luminosità é la media pesata dei valori RGB di ogni pixel. In particolare, è composta dal valore del verde al 59%, dal valore del rosso al 30% e dal valore del blu all'11%, per evidenziare come l'occhio umano sia molto più sensibile al colore verde (non a caso molto diffuso in natura) e meno ai colori rosso e blu. Quindi un clipping del canale rosso (oppure ancor peggio del canale blu) potrebbe essere non evidenziato dall'istogramma della luminosità. Facciamo una semplice prova: creiamo tre immagini con sfumature dal nero ai tre colori fondamentali, e osserviamone l'istogramma della luminosità:

Rosso (R), 30%

Verde (G), 59%

Blu (B), 11%

Osserviamo come l'istogramma della luminosità si estenda dallo 0 (nero) fino a tre valori intermedi, diversi per ogni canale. Se misuriamo, ritroviamo proprio i coefficienti di prima: 59% per il verde, 30% per il rosso e 11% per il blu. Notiamo inoltre che nessuno dei tre istogrammi da' segno di clipping, anche se le immagini sfumate contengono nella loro parte sinistra i toni puri (valori 255) e quindi un teorico clipping del canale!

Consiglio: se state fotografando soggetti che contengono colori saturi rossi e blu (o i colori derivati da questi) fate attenzione, non lasciatevi ingannare da un'istogramma della luminosità rassicurante!

Altra osservazione: l'istogramma dell'immagine dipende in lieve misura anche dal bilanciamento del bianco (a cui bisognerebbe dedicare un'altro articolo...). Quindi, se abbiamo scattato le foto in formato RAW e le apriamo con il convertitore (esempio: Adobe Camera Raw, per citare il più famoso), facciamo attenzione prima a correggere il bilanciamento del bianco, poi a valutare un eventuale clipping nell'istogramma.

Ultima considerazione importante:

l'istogramma é uno strumento "matematico ma stupido", quindi siamo noi che dobbiamo utilizzarlo con intelligenza!

Come sottolineato più volte, siamo noi che inpieghiamo gli strumenti a nostra disposizione per raggiungere il risultato tecnico e espressivo/artistico desiderato. Se questo implica una sovraesposizione o una sottoesposizione o un istogramma a righe, ben vengano, purché non siano dovute ad una nostra incapacità nell'impostare l'esposizione ma ad un preciso intento. Ad esempio: inutile accanirci nell'evitare un clipping dovuto ad un riflesso su una superficie metallica lucida, sottoesponendo il resto della foto.

Molti sono gli articoli che si trovano in Internet sull'istogramma. Date un'occhiata all'ultimo paragrafo sui links.

Per saperne di più, date un'occhiata al mio articolo "L'istogramma" nella sezione "Appunti di fotoritocco".

La dinamica delle fotocamere digitali

Cosa vuol dire "dinamica" nel campo della fotografia digitale? In elettronica, si definisce dinamica il rapporto tra il valore massimo e il valore minimo della grandezza acquisibile con un sensore. Nel campo della fotografia il sensore di cui stiamo parlando è appunto il sensore della fotocamera, e quindi dinamica vuol dire in pratica quanti stops può acquisire tale sensore. Un limite è dato sicuramente dal numero di bits impiegati dai convertitori interni: non ho notizie precise, ho sentito parlare in giro di 14 bits o giù di lì.

Al di là di questa considerazione prettamente elettronica, quello che in cui ci si imbatte spesso è la situazione in cui i nostri occhi vedono una cosa, ...e la fotocamera un'altra! Ad esempio, se guardiamo il panorama del castello di Susegana al tramonto, rimaniamo incantati e ammiriamo i colori e le sfumature del cielo appena nuvoloso, come della fine architettura del palazzo signorile. Tutto ci sembra bellissimo, e i nostri occhi funzionano che é una meraviglia. Ma appena accendiamo la fotocamera digitale ci accorgiamo che o esponiamo sul cielo con la sagoma scura del castello, o esponiamo sul castello con un cielo biancastro! Ci siamo scontrati con i limiti dinamici della fotocamera:

Se una scena presenta una differenza tra la parte più chiara e la parte più scura di 5-6 stops, dovremmo scendere ad un compromesso e scegliere di sovraesporre o sottoesporre.

Ad esempio, adesso che stó scrivendo questo paragrafo sono uscito a "misurare" con la misurazione spot il cielo e le case dei miei vicini: sul cielo ho 1/1000s f/5.6, sulle case ho 1/15s f/5.6, quindi ben 6 stops! Ecco il risultato, esponendo sul cielo:

Come si vede, i dettagli delle case sono appena accennati, e se vengono osservati con ingrandimento della foto al 100% sono anche coperti da un po' di rumore: siamo al limite della dinamica della mia fotocamera digitale (povera Minolta A1...).

Scattando in formato RAW abbiamo la possibilità di espandere leggermente la dinamica della foto, in quanto si hanno a disposizione i 12 bit originali del sensore e non gli 8 bit del formato JPEG. Con un pò di manico è possibile "sviluppare" il RAW producendo due immagini distinte, una con l'esposizione che favorisce le ombre e una che favorisce le luci. Alla fine si combinano le due con l'aiuto di una maschera, ottenendo la foto finale con una dinamica più elevata di un JPEG nelle stesse condizioni. Ancor meglio se si scattano varie foto dello stesso soggetto (che però deve essere statico!) con varie esposizioni, sfruttando lo stesso concetto di cui sopra (si veda anche il paragrafo sul bracketing). Alla Adobe nell'ultimo Photoshop CS2 hanno aggiunto lo strumento HDR proprio per velocizzare questa tecnica!

Esporre... a destra?

Il contenuto di questo paragrafo si rifà ad un famoso articolo di Michael Reichmann su The Luminous Landscape: "Expose (to the) Right". Altri riferimenti sono "Digital Exposure" sul sito di Ron Bigelow (molto interessanti i suoi tutorials) e "Exposing for RAW" del mitico Andrew Rodney. Supponiamo che la rappresentazione del valore di luminosità di un pixel di un'immagine appena campionata dal sensore sia espresso con 12bit: si avrebbero quindi 4096 possibili valori diversi, da 0 a 4096. Se supponiamo una dinamica di 5 stops per il sensore, si potrebbe pensare che ad ogni stop corrispondano circa 800 possibili valori: sbagliato! Quello che si verifica in pratica é una divisione non equa dei valori per i 5 stops, dovuta alla non linearità del sensore nei confronti della luce. In pratica vengono enormemente favoriti gli stops vicini al bianco (quindi quelli verso destra nell'istogramma) rispetto a quelli vicini al nero (a sinistra nell'istogramma). La distribuzione reale dei valori é questa:

Stop

Valori possibili

1 - Toni chiarissimi

2048 valori

2 - Toni chiari

1024 valori

3 - Toni medi

512 valori

4 - Toni scuri

256 valori

5 - Toni scurissimi

128 valori

Questa particolare distribuzione dei valori ci interessa perché ha a che fare con il rumore ed in particolare con il rapporto segnale/rumore. Questa grandezza é definita appunto come il rapporto tra il segnale (nel nostro caso, la foto vera e propria) e il rumore sovrapposto (se ne parla nell'articolo "Scelta della fotocamera digitale"), quindi quello che é desiderabile é aumentare il più possibile questo rapporto, in modo da ottenere foto pulite.

Per ottenere questo abbiamo due possibilità: diminuire il rumore oppure aumentare il segnale. Per diminuire il rumore possiamo solo impostare la sensibilità ISO al valore più basso possibile, e al massimo cercare di non scaldare la fotocamera (il rumore ha anche una dipendenza dalla temperatura, addirittura alcuni dorsi digitali costosi hanno una cella di Peltier per raffreddare il sensore). Per aumentare il segnale, quello che possiamo fare è sovraesporre per quanto é possibile senza bruciare le luci, quindi senza toccare il limite destro dell'istogramma: in questo modo spostiamo tutti i toni dell'immagine verso gli stops che posseggono più valori possibili, e che quindi hanno un segnale più ampio e robusto.

In fase di post-processing sarà poi facile diminuire l'esposizione (facilissimo se abbiamo scattato in RAW, vedi il paragrafo "Il formato RAW e la correzione dell'esposizione nella conversione") per compensare questa operazione. Ecco un esempio:

Esposizione normale

Esposizione +1 stop

Compensazione -1 stop

Se confrontiamo un dettaglio ingrandito di una zona scura della prima foto con la terza, ottenuta "esponendo a destra", osserviamo che quest'ultima ha meno rumore:

Esposizione normale, più rumorosa

"Esposizione a destra", meno rumorosa

Questo trucchetto funziona ovviamente se... non siamo vincolati dal clipping, cioè se tra l'istogramma dell'immagine e il limite destro del grafico (corrispondente al bianco perfetto) c'é un po' di spazio per giocare. Nel caso delle foto qui sopra, osserviamo che a destra ci possiamo giocare uno stop intero.

Concludendo, ecco la lezione che dobbiamo imparare da Michael Reichmann:

Per aumentare il rapporto segnale/rumore cerchiamo si sovraesporre per quanto possibile senza bruciare le luci, e di compensare l'aumento di esposizione in fase di post-processing della foto. Ancor meglio se scattiamo in formato RAW e ci aiutiamo con l'istogramma.

Il bracketing dell'esposizione

Il bracketing è una funzionalità delle fotocamere più complete che consiste nello scattare automaticamente non una foto ma tre, velocemente una dietro l'altra: una con l'esposizione considerata corretta, una leggermente sottoesposta e una leggermente sovraesposta. Il suo utilizzo principale consiste nel risolvere situazioni problematiche, nelle quali non si capisce bene quale sia l'esposizione corretta. In questo modo otteniamo tre immagini "centrate" nell'esposizione apparentemente più corretta, e nella fase di post-processing potremo scegliere la migliore. O ancora meglio, fonderle in una sola, scegliendo il meglio di ognuna delle tre. Come fare? Beh, magari lo spiegherò in un'altro articolo...

+0.5 stop1/100s a f/11

Originale1/125s a f/11

-0.5 stop1/200s a f/11

Alcune fotocamere permettono di scattare in bracketing non solo variando l'esposizione, ma anche variando altri parametri: contrasto, saturazione, bilanciamento del bianco (WB, white balance).

Il formato RAW e la correzione dell'esposizione nella conversione

Questo paragrafo di questo lungo articolo ha a che fare con un argomento un po' collaterale: il formato RAW. Si tratta di un formato alternativo ai soliti JPEG o TIFF, disponibile nelle fotocamere un po' più serie. Brevemente, si tratta di una specie di "negativo digitale", in quanto salva i dati così come escono dal sensore, senza nessuna elaborazione da parte del microprocessore della fotocamera. Lo svantaggio é che questo formato non é immediatamente utilizzabile ma deve essere convertito in JPEG o TIFF mediante un programma apposito, ma i vantaggi sono importanti, tra i quali il fatto che é possibile raggiungere il massimo livello qualitativo perché utilizzo un PC con i software all'ultimo grido e non lo striminzito microcontrollore della fotocamera con firmware di anni fa' e che il formato RAW é un'immagine "cruda" e quindi un punto di partenza per tutte le possibili correzioni, molto meglio delle immagini preelaborate salvate in JPEG.

Tra le possibili correzioni che posso effettuare c'é quella che ci riguarda quest'articolo: l'esposizione. Ebbene si: entro un certo limite, possiamo corregge l'esposizione di una foto salvata in RAW, senza perdere troppo in qualità, quando questo non succede per le foto salvate in JPEG. Questo per vari motivi tecnici, tra i quali il fatto il fatto che ogni pixel viene gestito con 12 bit o addirittura 14 bit per ogni canale invece dei soliti 8bit. Nella mia limitata esperienza ho visto che é possibile correggere fino ad 1 stop in più e in meno, meglio se in meno perché correggere l'esposizione nella direzione da foto scura a foto più chiara evidenzia di molto il rumore nascosto nelle zone scure dell'immagine.

Come già accennato nel paragrafo L'istogramma, facciamo attenzione prima a correggere il bilanciamento del bianco, poi a valutare un eventuale clipping nell'istogramma (che in forma lieve é infatti sensibile al white balance, WB).

Tutto questo comunque non é una scusa per trascurare l'esposizione al momento giusto, cioè quello dello scatto!

I filtri Neutral Density (ND)

Certe volte ci sono situazioni in cui... c'é troppa luce. Ad esempio vogliamo fotografare una cascata con il classico effetto dell'acqua che scorre morbida, ma non possiamo impostare un tempo si esposizione di 1s perchè non abbiamo un diaframma chiusissimo, ci vorrebbe un f/128! Come possiamo fare? Semplice, utilizziamo un filtro ND. Un filtro ND é semplicemente un filtro da applicare sulla lente frontale dell'ottica, il cui solo scopo é quello di diminuire la luminosità dell'immagine. Ne esistono di varie gradazioni, ognuna indicata con un numero.

Un buon articolo sui filtri si trova su Nadir: I filtri nella fotografia a colori.

I miei più bei... errori!

Questo è un paragrafo secondo me tra i più utili: l'autocritica degli errori commessi durante lo scatto di una foto, in questo caso dal punto di vista dell'esposizione corretta. E' fondamentale rivedere le foto appena fatte e capire cosa si é sbagliato e perchè, in modo da non ripetere questi errori nel futuro e soprattutto correggere le nostre "brutte abitudini". Eh si, non tentiamo di negarlo, ci sono effettivamente foto rovinate a causa di fattori esterni imprevedibili o situazioni troppo sfavorevoli, ma tante foto sono da scartare per alcuni nostri modi di eseguire il nobile gesto dello scatto. Un esempio? Tante volte mi capita di scattare tante e tante foto senza controllare per bene il tempo di esposizione (di solito scatto in priorità di diaframmi), poi il giorno dopo mi ritrovo una ventina di foto con persone in movimento con tempi di 1/30s, e mi mangio le mani, una ventina di foto veramente ben... mosse! Se sono fortunato qualcuna si salva. Ma quasi mai sono fortunato. Penso quindi che limare le nostre brutte abitudini sia il compito più difficile, ma anche quello che permette i miglioramenti più evidenti.

L'idea di questo paragrafo nasce dalla prima impressione durante la review delle foto che ho fatto al matrimonio di Alessia e Francesco, due miei amici. "Ma quante c@$$@te ho fatto!", mi son detto, "E' ora di riflettere sul senso della vita, e sugli errori fin qui commessi!".

Ah, ho un brutto carattere: qualche volta faccio tutto in fretta, senza riflettere. In questo caso ho fatto una bella foto ai miei amici Piero e Andrea, ma non ho guardato bene il tempo di esposizione... E' solo 1/60s! Il problema non è nella lunghezza focale (in questo caso, 30mm) ma nei movimenti dei soggetti, erano in posa ma scherzavano tra loro. Rivedendo nel display della mia 7D, sembravano nitide, ma sul monitor del PC sono risultate leggermente mosse. Era una serie di cinque foto, e la più nitida comunque è usabile ma non è perfetta.

Questo deve insegnare che bisogna SEMPRE verificare che il tempo di esposizione sia compatibile con i movimenti dei soggetti e con i movimenti della fotocamera (occhio quindi alla lunghezza focale)!

Lo visione della foto nel display della fotocamera è un aiuto, soprattutto se zoomiamo sui particolari teoricamente a fuoco, ma ci posso essere sorprese quando la possiamo vedere in seguito sul monitor del PC. Tra l'altro, non in tutte le fotocamere si può zoomare un file RAW (purtroppo tra queste c'è anche la mia 7D). Solo la nostra esperienza e la lettura attenta dei parametri di esposizione sono una risposta (quasi) definitiva.

Come sopra: qui invece ho scattato con 1/45s con una lunghezza focale di 75mm (112mm equivalenti): troppo poco, sia per i movimenti dei soggetti che i movimenti della fotocamera.

Vi ricordate la regola d'oro?

Per evitare foto mosse per movimenti della fotocamera, esporre con tempo di esposizione almeno minore dell'inverso della lunghezza focale.

Ad esempio, se fotografiamo un soggetto con una focale di 100mm, meglio scegliere un tempo di esposizione più veloce di 1/100s. Sempre che non abbiate una Minolta 7D con l'antishake o equivalenti (ottiche o sensori stabilizzati): si guadagnano fino a 2 stop! In questo caso, potrei scattare fino a 1/25s evitando il mosso dovuto ai micromovimenti della fotocamera.

Un classico: una bella foto in controluce con sfondo molto chiaro. Tipico errore da pivelli, quale io sono. Ok, non una foto che rimpiangerò per aver rovinato, eventualmente qualcosa si può fare con il fotoritocco, però è un esempio di "cosa non fare".

Possibili soluzioni:

  • sovraesporre quanto basta per esporre correttamente il soggetto della foto, bruciando lo sfondo;
  • flash per schiarire il soggetto, che è più vicino e più buio dello sfondo;
  • se sei un mago, vai di misurazione spot ed esposizione manuale!

E questa che problema ha? Presto detto: mi sono dimenticato di cambiare la sensibilità ISO, è rimasta a ISO400 (utilizzata all'interno della chiesa), quando all'esterno bastava ISO100. Infatti il tempo di esposizione è 1/2000s, inutilmente basso. E il rumore è inutilmente alto.

Ricordarsi che l'esposizione ha tre dimensioni, non due: oltre a diaframma e tempo di esposizione, c'è anche la sensibilità ISO! Controllare sempre l'impostazione attuale!

Non contento di sbagliare a causa di una dimenticanza, mi è successo parecchie volte che passeggiando con la fotocamera al collo, si cambiasse innavvertitamente la sensibilità ISO a causa de fatto che il relativo pulsante si premesse contro il mio stomaco (tra l'altro sulla 7D è proprio l'ultimo verso basso, il più esposto). Così ho capito che devo controllare l'impostazione ogni volta che riprendo a fotografare, e che devo spegnere la fotocamera quando passeggio (e non lasciarla in stand-by).

Come sopra, ma qui mi sono dimenticato la compensazione dell'esposizione a -1eV in una delle foto del mio viaggio di nozze (vedi l'istogramma qui sotto). Con il fotoritocco si recupera l'esposizione corretta, soprattutto se si è scattato in RAW, però si perde in qualità finale dell'immagine.

Controllare, ricontrollare, ri-ricontrollare, che dopo è troppo tardi...

Questo è un errore subdolo, ma che deve far riflettere. Si tratta di una foto scattata con il mio "beercan", il famoso Minolta AF 70-210/4, comperato usato su Internet. Avvenne che, come succede spesso a obbietti vecchioti, le lamelle del diaframma fossero un pò impastate con l'olio di lubrificazione, e che quindi facesse fatica ad aprirsi e richiudersi velocemente. La mia 7D ha calcolato la giusta esposizione, ma non poteva sapere che il diaframma tardasse a chiudersi, e che quindi facces passare troppa luce. Poichè non ho controllato foto per foto, non mi sono accorto subito del fattaccio e ho sovraesposto irrimediabilmente una decina di foto.

Questo deve insegnare che un guasto all'attrezzatura può sempre succedere, soprattutto se non recente e non di qualità, e che per limitare i danni si deve controllare il più frequentemente possibile le foto, maglio se ad ogni scatto!

Questo vale soprattutto per le reflex, dove ci sono corpo e obbiettivi separati, magari soggetti a botte e colpi nell borse o zainetti, e dove non è possibile avere l'aiuto dell'istogramma in tempo reale.

Altri argomenti avanzati

Beh, cosa manca in quest'articolo, nato con tre paragrafi e cresciuto a dismisura? Butto là un argomento ultimamente di moda. Si tratta di una possibilità offerta dall'elaborazione digitale delle immagini: quella di fondere tante immagini di uno stesso soggetto statico (di solito un paesaggio), ognuna con un'esposizione differente similmente a quanto si può fare con il bracketing ma con più di tre immagini, allo scopo di ottenere una super-immagine con una dinamica eccezionale. Queste operazioni sono state automatizzate in un nuovo strumento denominato HDR della nuova versione CS2 di Photoshop, ottenendo delle immagini addirittura a 32bit per canale!

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Last modified: 25.02.2011 08:56:42